Faceva caldo persino per una sera d’estate siciliana. Ad Aidone, nell’entroterra dell’isola, era come essere tornati indietro negli anni; quella sera, le lusinghe della televisione parevano non esistere. Non tirava un filo d’aria e la strada era affollata di donne sedute fuori dalle case a sventolarsi e raccontarsi la giornata, mentre i carusi, seminudi, sciamavano vociando a rincorrersi nel rimpiattino, lungo la strada principale del paese. Gli uomini, per sfuggire alla calura delle mura domestiche, si erano raccolti a capannelli nella piazzetta davanti al municipio, a fumare, discutere di calcio, auto e, a voce più bassa, di fimmini… Mentre gli ultimi lampi del tramonto ancora indugiavano rosseggiando a incorniciare i ruderi del Castellaccio, due colpi secchi di lupara, in successione, vennero a spezzare la quiete afosa di quell’estate. Nell’immobilità di uno sgomento stupore, un brivido attraversò il paese fino al cuore dei suoi abitanti: le donne, improvvisamente mute, si scambiavano sguardi smarriti e i piccoli, abbandonati i giochi, istintivamente si erano avvicinati alle madri, mentre gli uomini, labbra serrate e muscoli tesi, scandagliavano, occhi e orecchie all’erta, le lunghe ombre della sera. Perfino i latrati lontani che, fino a qualche momento prima facevano da sottofondo al frinire delle cicale, si erano fermati. In attesa.
“Delitto all’imbrunire”, Filippo Di Pino